Geburah (Rosso) – Lab Settembre 2013

La sala era stata ottenuta scavando un antro circolare nella nuda roccia.
Illuminata da un braciere centrale e da numerose torce affisse alle pareti risplendeva di un rosso cupo e cangiante; la volta gigantesca era sorretta da un enorme pilastro, Il Pilastro della Severità. Per chi si affacciasse per la prima volta in quello spazio, lo spettacolo era garantito.

Subito davanti al Pilastro cinque gradini di pietra conducevano allo scranno su cui sedeva il Grande e Giusto, avvolto nella sua tunica amaranto, la spada appoggiata di traverso sulle ginocchia, il cappuccio alzato a coprirne completamente il volto.

I duecentosedici Timorati di Dio erano disposti lungo i bordi della sala, ciascuno avvolto dalla stessa tunica rossa del Grande e Giusto, sebbene a capo scoperto, e ciascuno di loro era armato di spada priva di fodero. Tenevano l’arma in mano impugnandone l’elsa come se fossero pronti a un imminente combattimento: ma tutto era calmo, i loro volti erano severi, freddi e impassibili.
Solo il rosso delle fiamme danzava sui loro volti e sulle loro vesti, scolpendoli fuori dalla pietra della sala.

Il novizio si fece strada senza che nessuno lo annunciasse. Era giusto che entrasse e lo fece senza esitazione. La parte superiore della sua tunica non era indossata e pendeva dalla vita, appesa alla corda che la chiudeva, lasciandolo a torso nudo.
Difficile dire che età avesse in mezzo alla penombra disegnata dalle fiamme, ma si distingueva la stazza massiccia, una muscolatura ben sviluppata ed era completamente rasato, privo di peli sul corpo, barba e capelli. Lo sguardo era determinato, la mascella marcata, gli occhi fissi sul braciere.
Non era mai entrato nella sala prima, eppure non si era perso un secondo in contemplazione.

Il Grande e Giusto parlò.
“Tu che vieni nella casa del Padre, sei pronto ad affrontare il Suo Giudizio?”
Il suono era cantilenante, come se avesse pronunciato quelle parole migliaia di volte prima di allora. Il novizio non si scompose, si inginocchiò e la sua voce riecheggiò nitida e forte, in risposta a quella che aveva appena parlato.
“Sì, sono pronto.”
“Allora che sia fugato ogni dubbio sulla tua inclinazione verso il Male!”
A queste parole tre Timorati di Dio si avvicinarono al braciere, uno di loro estrasse un pugnale e lo passò ripetutamente tra le fiamme, gli altri due si portarono ai lati del novizio e lo afferrarono per le braccia cercando di immobilizzarlo. Ma lui si divincolò, incrociò le braccia al petto e si piegò con il busto in avanti, offrendo la propria schiena all’uomo col pugnale.
Questi iniziò a incidere la carne e il sangue prese a sgorgare vermiglio, mentre il novizio respirava intensamente, senza emettere lamenti e restando immobile. Quando il pentacolo fu completato il coltello lordo di sangue fu lasciato davanti alle sue ginocchia e i tre uomini si ritirarono.

Il Grande e Giusto tornò a parlare.
“La prima prova è stata completata. Tu ora porti il Simbolo, ma possiedi solo un pugnale lordo del tuo stesso sangue. Per essere un vero Timorato di Dio e combattere per il Bene Maggiore ti serve una spada. E solo duecentosedici possono essere le spade della mano sinistra di Dio. Quindi scegli attentamente chi sfidare e vinci la spada o muori da uomo giusto.”

Il novizio si alzò in piedi. Prese il coltello che aveva davanti e osservò il suo sangue illuminato dalle fiamme. Due tipi di rosso così diverso che si fondevano su una lama creavano un effetto quasi ipnotico. Non c’era però tempo da perdere, doveva finire il suo rituale, prendere il posto di uno degli altri confratelli.
Il dolore sulla schiena era lancinante e annebbiava la mante, rallentava i movimenti. Se chiudeva gli occhi ogni fitta corrispondeva a un lampo vermiglio nella sua mente. Girò intorno al braciere guardando nella direzione dei confratelli, poi quando fu ai piedi dello scranno, restando sempre impassibile, si girò di scatto e lancio il coltello con forza e precisione.
La lama andò a conficcarsi nel cappuccio del Grande e Giusto, che non riuscì nemmeno a emettere un suono prima di accasciarsi in avanti.
Il novizio salì i cinque scalini e raggiunse lo scanno, liberò la testa del Grande e Giusto e notò che il pugnale si era conficcato nella tempia del vecchio uomo. Era così annoiato che non stava nemmeno guardando in quella direzione.

Il nuovo Grande e Giusto prese la spada e ne strinse saldamente l’elsa, quindi si caricò in spalla il corpo del vecchio, scese gli scalini e lo andò a buttare nel braciere.
Nessuno parlò, tutti tacevano e sapevano. Da tempo i Timorati di Dio avevano anteposto il Bene Minore a quello Maggiore e questo non era ammissibile agli occhi di Dio. Ma la legge è legge e nessuno nella setta avrebbe potuto opporsi senza creare disarmonia a sua volta.

“Il Cielo è dei violenti” disse il Grande e Giusto, guardando il sangue che sfrigolava tra le fiamme. Si tirò su la tunica e alzò il cappuccio, andandosi a sedere sullo scranno, con la spada ancora saldamente in pugno.

geburah


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