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Sogni – Parte prima

Ho un disturbo del sonno. In realtà ne ho più di uno. Un paio di anni fa ho fatto una polisonnografia e dovrei raccontarne in un post a parte, perché merita. Comunque, tra i vari disturbi ci sono sogni estremamente realistici e vividi, complessi e articolati. Ogni tanto quando mi sveglio li scrivo, e sono sconnessi come solo le trame dei sogni possono esserlo con salti logici  e tutto il resto. Sono pur sempre sogni.

Questo è quello di stanotte.

Il pellegrinaggio

Siamo alla locanda, ed è l’unico posto al mondo in cui potremmo essere. È di legno, calda e accogliente, ci ripara da tutto quello che c’è fuori. Siamo viaggiatori più disparati, veniamo da ogni luogo e da ogni tempo.  Io non ho consistenza, non ancora, sono entità in continuo divenire, copio e assimilo da quello che mi sta intorno, mi adatto all’ambiente. Ora sono calma e tranquilla come la locanda.
All’improvviso ci viene detto che dobbiamo lasciare quel posto. Non è sicuro. Ci deve essere una grave minaccia, altrimenti per nessuna ragione al mondo lasceremo l’ambiente confortevole e riparato, dalla tonalità calda del legno per avventurarci nel freddo grigiore esterno.
Ma la minaccia è reale e tutti usciamo. Non c’è alternativa.
Sulla porta incontriamo un gruppo di pellegrini stremati. Stanno entrando. Per loro la locanda è calda e accogliente, sicura e confortevole. Forse erano loro la minaccia. Forse lo eravamo noi per loro.
Non importa, ormai siamo sul sentiero.
Camminiamo compatti lungo la strada di polvere e ciottoli.
Una donna-lucertola fa strada, si muove facendo la ruota come una ginnasta e ci sibila contro parole rabbiose perché restiamo indietro.
Ci incalza perché le facciamo perdere tempo.
Io inizio ad autodefinirmi e la copio. Lei è verde scuro, io sono come lei ma nera e grigia. Faccio i suoi stessi movimenti e riesco a stare al suo passo.
Lei sibila parole rabbiose contro le persone che restano indietro, creature di tutte le forme e fogge, e io cerco di calmarla, di dirle che non tutti hanno la stessa andatura. Io stessa non sono agile come lei, perché sotto i miei stivali ci sono dei tacchetti come quelli dei calciatori, quando “ritorno” da una capriola, i tacchetti scivolano sui ciottoli e il mio piede è infermo e non sono altrettanto stabile.
Lei si arrabbia ancora di più e mi spinge a terra, inizia a svitare i miei tacchetti e li tira ai margini della strada.
“Se sono questi che ti rallentano, ti libero, ecco fatto!”
Ora sono arrabbiata anche io, mi alzo e vado a riprendere i miei tacchetti tra i rovi.
Mentre cerco di vederli in mezzo all’intrico di arbusti spinosi scorgo un sacco di catenine d’argento con una lettera in filigrana dorata. Mi guardo e vedo che ne ho una anche io, mi volto e noto che tutti i pellegrini ce l’hanno.
Solo la donna-lucertola non ce l’ha.
Non ha abiti, non ha scarpe, non ha niente. È libera, ed è sola.
Raccolgo una manciata di catenine e vado verso di lei, gliele agito sotto il naso.
“Proprio non capisci?! Quante volte dovremo passare di qui perché tu finalmente realizzi? Ognuna di queste lettere è un nome lungo la strada! Una persona che tu hai lasciato indietro perché non era alla tua altezza! Non arriveremo mai da nessuna parte se continui a fare così… Adam, Bob, Charles, Darren, Emily…” per ogni nome agito una catenina e gliela metto al collo, che senta il peso del fardello, che ricordi il volto che ha tradito.
Ma l’orrore è troppo, prende tutte le catenine, se le toglie e le getta di nuovo tra i rovi.
Poi corre lungo la strada. Abbandona di nuovo me e tutte le comparse del sogno, come ha già fatto chissà quante altre volte.
Io non ho più nessuno da copiare e inizio a svanire.

Mi sveglio.